A tu per tu con GABRIELE MARI
Gabriele Mari lavora come educatore per la cooperativa “La Pieve” dove opera nell’ambito della disabilità giovanile in particolare con ragazzi con autismo. Si definisce Educatore Ludico in quanto il gioco è una costante nella sua pratica educativa.
È uno dei docenti del corso Erickson Game Trainer.
È inoltre game designer e sviluppatore di giochi da tavolo per la casa di produzione ludica Sir Chester Cobblepot.
- Qual è il tuo rapporto con il gioco?
Il mio rapporto col gioco è quotidiano e costante. Ormai vedo il mondo attraverso le strutture e le forme del gioco, un po’ come il Neo di Matrix quando vede la realtà attraverso la matrice. Ogni contesto che attraverso quotidianamente (lavoro, famiglia, amici) può diventare terreno o occasione di gioco.
- Da dove nasce il tuo interesse per il gioco?
Fin da ragazzino ho sempre giocato con i giochi da tavolo: ne apprezzavo la chiarezza concettuale delle regole che li governano, la loro capacità di trasportarti in altri mondi (come i libri, ma in maniera più attiva) e il fatto che fosse una fantastica esperienza da condividere con i miei amici.
- Qual è il tuo gioco preferito e perché.
Credo che il mio gioco preferito cambi ogni due o tre mesi. Al momento direi The Resistance di Don Eskridge: mi affascinano i giochi a ruoli segreti in cui con due regole in croce si riescono a mettere in moto delle dinamiche di interazione tra gruppi piuttosto numerosi di persone. La semplicità delle regole permette a tutti di giocare in pochissimo tempo e di portare il focus del divertimento sull’alchimia che si crea tra le persone che giocano, come una reazione chimica imprevedibile, ogni volta diversa, perché diverse sono le persone.
- Chi è e cosa fa l’educatore ludico?
È un professionista dell’educazione che utilizza le forme tipiche del gioco da tavolo e di ruolo nei contesti in cui opera quotidianamente: può essere l’educatore che fa giocare il ragazzo con autismo per aiutarlo ad acquisire delle abilità sociali, l’insegnante che fa giocare la classe per potenziarne le competenze matematiche, o il bibliotecario che fa giocare di ruolo i frequentatori della biblioteca per dare vita a universi letterari conosciuti soltanto attraverso la lettura. L’educatore ludico, insomma, utilizza il gioco strutturato come uno strumento educativo, coniugando il mondo del gioco con quello dell’educazione, con competenza, consapevolezza e obiettivi precisi.
- Se dovessi concludere la frase “il gioco come mezzo educativo e riabilitativo...” cosa diresti?
Il gioco come mezzo educativo e riabilitativo è uno strumento potentissimo, ma al momento ancora poco conosciuto e riconosciuto. Proprio per questo porto in giro per l’Italia il corso per Educatori Ludici e per Game Trainer, per far sì che la cultura del gioco, e di quello educativo in particolare, si diffonda e diventi sempre più una pratica comune.
- Sappiamo che utilizzi il gioco in ambito educativo sfruttando il metodo TEACCH, ci riporteresti la tua esperienza?
Specializzandomi in autismo sono venuto a contatto con metodi di trattamento di matrice comportamentale, come il TEACCH appunto, in cui la parola d’ordine è “strutturazione”, sia del tempo che dello spazio. Intravedendo subito delle forti connessioni con pratiche di game design che utilizzavo da tempo, ho cercato di unire i due mondi del TEACCH e del gioco da tavolo applicando sistematicamente le strategie comportamentali alla modifica dei giochi, in modo da renderli inclusivi e adatti a tutti. Nella pratica quotidiana si tratta di individuare i giochi commerciali più adatti ai nostri obiettivi educativi e di modificarli in base ai criteri di individualizzazione, facilitazione e compensazione codificati dal TEACCH, salvaguardando comunque la dimensione del divertimento, che deve essere la cornice portante all’interno della quale si svolge l’attività di gioco.
- Sappiamo che hai portato il gioco all’interno di carceri e cooperative sociali; che cambiamenti hai notato nelle persone che si sono avvicinate al gioco?
Sì, la disabilità e il carcere sono i due principali contesti in cui mi muovo. Il cambiamento principale, direttamente percepibile, è legato alla portata sociale del gioco da tavolo: le persone (tutte, indistintamente) sono portate ad interagire con gli altri, in un contesto rilassante, piacevole e divertente. Il gioco è un facilitatore sociale a bassissimo costo, che porta le persone ad aprirsi agli altri: da queste interazioni passa la conoscenza dell’altro, la condivisione di interessi, l’abbassamento delle difese istintive che normalmente ci dividono dagli altri (paura del giudizio, ostilità, egoismo e competizione sfrenata). Conoscere l’altro è il primo passo verso l’inclusione, e il gioco è un’ottima “scusa” per farlo.
- Quale pensi sia il ruolo del gioco in una didattica che cerca di essere inclusiva?
Proprio per questa sua natura inclusiva di cui parlavo sopra, che rende tutti uguali attorno al tavolo, tutti parte dello stesso cerchio magico, il gioco ha le potenzialità, anche a livello didattico (e quindi scolastico) di abbattere il muro che separa la classe di bambini a sviluppo tipico dai bambini con disabilità o con Bisogni Educativi Speciali. Il gioco, se pensato e strutturato nella giusta maniera, può essere per tutti, per l’intero gruppo classe. Lo scopo di modificare un gioco non deve essere quello di renderlo utilizzabile solo dal bambino con disabilità, ma ANCHE dal bambino con disabilità. Per questo il nostro approccio (a cui abbiamo dato l’etichetta di Tuttingioco) pur partendo dall’ambito dell’autismo si è poi esteso in contesti educativi diversissimi tra loro (carcere, scuola, centri ricreativi, anziani, recupero dalle dipendenze, prevenzione del gioco d’azzardo patologico): il gioco deve essere per tutti, sempre.
- Per concludere, da chi con i giochi li usa in ambito educativo, che spunto vorresti dare al mondo ludico?
Al mondo ludico, e in particolare alle case editrici, voglio dire di tenere gli occhi aperti, perché in Italia si sta sviluppando un interesse sempre maggiore verso l’utilizzo educativo e didattico di giochi da tavolo commerciali. C’è bisogno di una maggior sinergia tra chi produce i giochi e chi li utilizza in questi contesti, di un maggior supporto. Gli editori devono capire l’importanza di entrare, con i loro giochi, nelle scuole, nelle biblioteche, nei centri diurni, appoggiandosi a persone competenti e qualificate che magari portano avanti questi servizi da anni, nell’ombra, senza tanti clamori. Alcune case editrici cominciano ad intuirlo, ma la strada è ancora lunga.
I contatti di Gabriele:
www.facebook.com/gabriele.mari.77
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