0-99 Intervista: Simone Serrao

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A tu per tu con SIMONE SERRAO

Simone Serrao è il propietario di Orso Ludo un fantastico negozio sito in Parma in cui la frase: “…quando ero piccolo mi innamoravo di tutto” si percepisce e si vive a pieno. Il passato da educatore traspare dal modo con cui racconta i giochi appassionando chiunque entri in negozio.
È inoltre product manager per Mancalamaro e ideatore di Slegati!Festival uno spazio in cui le famiglie possono giocare e scoprire nuovi mondi.
Ha avuto la pazza idea di aprire una Libreria, Polpo Ludo, perché le sfide semplici non gli piacciono!

  • Qual è il tuo rapporto con il gioco?

Senza retorica, potrei dire che il gioco per me, a livello umano e professionale è TUTTO. Non concepisco una vita senza gioco.

  • Da dove nasce il tuo interesse per il gioco?

Il gioco mi ha trovato e colpito in modo del tutto casuale, non sono andato a cercarlo.

Quando ero piccolo (m’innamoravo di tutto…) giocavo con qualunque cosa, più di tutto mi piaceva costruire cose e inventare storie. Ho avuto la grande fortuna di avere genitori molto presenti, ma capaci di regalarmi anche momenti di gioco indipendente. Mia madre mi ha sempre stimolato dal punto di vista artistico, mio padre molto più concreto, entrambi spinti da indole e tipo di formazione.

Il resto lo han fatto le amicizie, coi miei amici dell’epoca inventavamo trasmissioni radiofoniche, costruivamo campi di battaglia per soldatini e truppe di Battle Master, ci davamo un sacco di botte (quelle belle), facevamo sport e inventavamo scenari per Heroquest.
Post adolescenza, come capita a molti, il gioco è stato messo un po' da parte, per poi tornare prepotentemente in auge dopo gli studi universitari.

Il vero amore è sbocciato grazie al lavoro di educatore e all’approccio della cooperativa con cui ho iniziato a lavorare, la ormai scomparsa Terra dei Colori. La cooperativa in oggetto investiva tantissimo nella formazione e nello sviluppo di un’educativa legata al gioco e alle relazioni, noi operatori ci siamo formati giocando. Il Ludobus era il servizio che in questa sfera ha fatto la vera differenza, un servizio vitale per centinaia di famiglie, anch’esso purtroppo scomparso negli anni bui della nostra municipalità. Speriamo torni di moda offrire un servizio del genere alle tante famiglie in difficoltà.

Poi un giorno il vero colpo di testa: mi vedevo a fare altro, mi vedevo a trasformare questa attitudine naturale in un altro tipo di lavoro, che prevedesse una formazione ancora più specializzata e un ritorno commerciale. Purtroppo si delineava già da tempo il futuro delle piccole cooperative e non avevo intenzione di entrare in quella logica, così son partito. Ho trovato un socio e il resto è la storia di Orso Ludo.
Ora lavoro anche nel campo della editoria dei giochi da tavolo e sono molto felice.

  • Qual è il tuo gioco preferito e perché.

Il mio gioco preferito è il KAPLA, costruisci, distruggi, ricostruisci e così via…
Ogni volta che rimetti in piedi qualcosa sei più competente, costruisci meglio, fai tesoro degli errori. Nonostante sia un pessimo matematico e un orribile ingegnere (ho studiato lettere), ho costruito strutture mirabili, senza falsa modestia.

  • Innegabile che con Orso Ludo e relative iniziative hai giocato un ruolo primario nel creare una “comunità che gioca” a Parma. Cosa ne pensi dello stato attuale della realtà del gioco e come vorresti vederla evolvere?

Grazie per la considerazione, il mio desiderio sarebbe che tutti giocassero, ben venga qualunque iniziativa che metta al centro gioco e persone. Il gioco purtroppo si porta dietro un retaggio culturale che lo etichetta come “passatempo”, non come tempo “investito” nella costruzione della persona, dimenticando che per tutti i bambini fino a una certa età (incalcolabile a mio parere) risulta essere l’attività principale della vita e magari l’unica in cui ci si impegna a fondo.
Vorrei che si desse il giusto spessore e la giusta importanza al tempo dedicato al gioco, mettendo l’accento sul concetto di regola, su cui il gioco si fonda.
Avremmo in cambio una marea di cittadini responsabili e abituati alle regole di normale convivenza e rispetto. Senza dimenticare che le regole sono la base della creatività, dentro i paletti si deve essere creativi, senza regole la creatività è solo caos, poi ci sono gli artisti che stravolgono le regole e sono fondamentali, ma non sono poi così tanti…
La speranza è che il gioco esca dalla nicchia e si ritagli uno spazio centrale.

  • Avendo accumulato una certa esperienza di vendita, vorresti condividere quali sono le caratteristiche che i tuoi clienti ricercano maggiormente in un gioco in scatola? 

Se parliamo di giochi in scatola, la richiesta è quasi sempre la semplicità, non tanti clienti sono pronti a regolamenti più strutturati e l’attenzione è spesso molto bassa.
Semplicità di apprendimento la caratteristica più richiesta, poi se si pensa ai “gamer”, com’è normale che sia, la richiesta va su titoli molto più innovativi, meccaniche meno usate, si va sempre sul particolare.

  • Insegnanti e terapisti ricercano le stesse cose in un gioco oppure hanno un approccio diverso? (com’è se è diverso?)

Dividerei proprio le due categorie: gli Insegnanti sono molto ricettivi e si mettono in ascolto in modo da cercare di trovare nelle nostre proposte idee applicabili alla didattica, che possano supportarli a vari livelli. Creare l’interesse dell’alunno non è cosa semplice e il gioco può essere un intermediario formidabile, ma serve moltissima competenza e un discreto archivio di informazioni per capire quale gioco usare e come usarlo. In questo noi siamo fondamentali, perché abbiamo l’occasione di accendere qualche fiammella e regalare spunti, poi sta all’insegnante capire come usare questi spunti.
I terapeuti hanno spesso bisogno di strumenti molto più specifici. In questo caso diventa ancora più importante l’archivio sopracitato, un archivio mentale che consenta al negoziante di dare risposta specifica e puntuale, senza uscire dalla richiesta.
Dal mio punto di vista sono stimoli diversi, ma entrambi molto entusiasmanti, entrambi hanno a che fare sia con il coinvolgimento emotivo, che con l’utilizzo di nuove tecniche lavorative, con scopi completamente differenti.
La scuola su tutto avrebbe un ruolo centrale riguardo al desiderio di far uscire il gioco dalla nicchia, speriamo di coinvolgere sempre più insegnanti.

  • Quali sono le caratteristiche educative che spiccano nel gioco in scatola?

Rischio di essere leggermente ripetitivo, ma è un rischio che corro volentieri: il gioco in scatola è un insieme di regole, la regola è essa stessa educazione. E non si parla di regola autoritaria, si parla del pilastro fondante senza il quale il gioco non esisterebbe.
Poi c’è l’aggregazione, il misurarsi in modo competitivo e sano, il saper accettare la sconfitta senza farne drammi, senza sentirsi un perdente (problema di molti adulti e bambini, che spesso spinge ad abbandonare il gioco, impossibile no leggerne un riflesso sulla vita di tutti i giorni). C’è anche spesso la possibilità di affrontare giochi cooperativi e anche qui gli aspetti educativi si sprecano: si può imparare ad ascoltare gli altri compagni di gioco, senza la necessità di primeggiare a tutti i costi e far sentire la propria voce più forte di quella degli altri (la sindrome del giocatore α).
Si può imparare a vincere e perdere, con o contro gli altri. Anche imparare a vincere non è così scontato.

  • Sappiamo che hai un passato da educatore; come pensi che questo influisca sull’essere un negoziante di giochi?

Il mio passato influisce su tante scelte commerciali e politiche che si fanno per l’attività. L’aspetto commerciale ha imposto anche ragionamenti diversi rispetto a quelli che si facevano all’inizio. Quando si è unita la responsabilità di avere dei dipendenti, per garantire loro la giusta retribuzione e la possibilità di mantenerli, le scelte sono diventate ancora più importanti e di conseguenza la ricerca dei prodotti (lavoro tutto fuorchè semplice). Mai ho abbandonato l’idea che proporre idee buone e sane (secondo il mio punto di vista), possa fare la differenza con tutti gli altri negozi di giocattoli. Non penso che mai mi allontanerò da questa idea, l’educativa in questo è stata illuminante. Se vi capita, girando per Orso Ludo, di pensare “questo cosa cavolo c’entra col negozio?”, vuol dire che mi piaceva un sacco e me ne sono fregato di tutto quello che ho appena detto…
Sono un bambino anch’io.

  • Per concludere, da chi i giochi li vende, che spunto vorresti dare al mondo ludico?

Un unico spunto, chi lavora coi giochi deve divertirsi, se non lo fa non riuscirà mai a passare la passione. Senza passione diventa un lavoro come un altro, ma non credo che lo sia.
È necessario costruire la competenza con l’esperienza, difficile lavorare col gioco e non farsi coinvolgere, se succede c’è qualcosa che non va, al netto di tutte le preoccupazioni che stanno dietro ad ogni attività.
La comunità ludica nazionale cresce ogni anno tantissimo, le principali fiere nazionali sono sempre più frequentate, ma si può puntare molto più in alto.

Chi gioca, invece, deve solo GIOCARE.

 

I contatti di Simone:

www.facebook.com/orsoludo

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